1 Quale fu la portata massima raggiunta durante l’evento del 4 novembre 1966?

2 Quanto piovve, e per quanto tempo?

3 Quanto acqua entrò in città?

4 Quanti morti fece l’alluvione?

5 Quali zone di Firenze furono allagate?

6 Quali altre città furono colpite?

7 Lo scolmatore d’Arno di Pontedera era già in funzione?

8 Perché la popolazione non fu avvertita?

9 Ma fu colpa delle dighe?

10 Quella del ’66 è stata la piena più grave che ha colpito Firenze?

Oggi

1 Se la stessa pioggia cadesse oggi, cosa succederebbe?

2 Che impatto sta avendo il cambiamento climatico?

3 Ma esiste un piano contro le alluvioni?

4 Che interventi prevede?

5 Perché non si scava di più il fiume? Non aiuterebbe ad Evitare alluvioni?

6 Esiste un modo per prevedere le alluvioni?

7 Se arriva una piena, dov’è che si verificheranno le prime esondazioni?

8 Chi interviene in caso di allerta alluvione?

9 I nostri beni culturali sono ancora a rischio? E le scuole? E gli ospedali?

10 Che cosa dobbiamo fare per difenderci durante la prossima alluvione?


50 anni fa

Quale fu la portata massima raggiunta durante l’evento del 4 novembre 1966?

La stazione idrometrica di Nave di Rosano andò distrutta durante l’evento. Per questo la stima della portata massima dell’Arno a Firenze è affetta da una inevitabile incertezza.
Al contrario di quanto riportato nella pubblicazione “L’evento alluvionale del novembre 1966” del Ministero dei Lavori Pubblici, che indica un valore massimo stimato pari a 3600 mc/s sulla base delle tracce di esondazione, l’Autorità di bacino del Fiume Arno, nel corso dell’elaborazione del Piano di Bacino, stralcio “Riduzione del Rischio Idraulico“, ha proposto la seguente ricostruzione degli idrogrammi di piena di Arno e affluenti, con un picco massimo dell’Arno a monte di Firenze stimabile intorno ai 4000 mc/s.

Quanto piovve, e per quanto tempo?

Tutto il periodo autunnale ed in particolare i giorni della terza decade di ottobre del 1966 furono caratterizzati da abbondanti e continue piogge; ma, al contrario di quanto molti ricordano, i quattro giorni immediatamente precedenti il 3 novembre furono asciutti. Le piogge dei giorni 3 e 4 furono però estese, intense e ininterrotte. La stazione pluviometrica che fece registrate i valori cumulati più alti fu senza dubbio quella di Badia Agnano, nel bacino del torrente Ambra, affluente dell’Alto Valdarno. Il valore di 437.2 mm in 48 ore rappresenta un valore mai più raggiunto in Toscana.

Quanto acqua entrò in città?

Anche in questo caso, così come per la portata al colmo della piena, le stime sono inevitabilmente variabili e affette da una non banale incertezza. Sulla base delle valutazioni più recenti, l’Autorità di Bacino stima che i volumi che hanno inondato Firenze e la piana siano stati dell’ordine di 230 milioni di metri cubi di acqua. Occorre comunque considerare che l’effetto dell’alluvione è di fatto una sovrapposizione di due fattori principali: il livello massimo raggiunto dalle acque, e lo scorrimento delle stesse, in alcuni casi anche molto veloce, con effetti devastanti soprattutto per il trascinamento di oggetti, automezzi, tronchi, carcasse di animali.

Quanti morti fece l’alluvione?

Il tragico conto dei morti a causa dell’alluvione del novembre del ’66 è sempre stato incerto, anche per un certo riserbo delle autorità sull’argomento. Secondo una stima affidabile il numero delle vittime dovrebbe essere per a 35: 17 a Firenze e 18 nei comuni della Provincia. Per la maggior parte si trattò di persone anziane, anche se non mancarono le vittime tra i più piccoli (tra cui una bambina a Sesto Fiorentino, strappata dalle braccia del padre dalla corrente).

Quali zone di Firenze furono allagate?

Una ricostruzione affidabile delle zone allagate nell’abitato di Firenze e nei dintorni venne pubblicata nei primi anni dopo l’alluvione dall’Istituto Geografico Militare (L’Universo, Anno 47 n. 2 – Firenze). Sulla base di questa cartografia, dei documenti del Comune di Firenze e delle indicazioni delle targhe storiche disseminate nella città di Firenze, l’Autorità di Bacino del Fiume Arno ha predisposto un progetto di cartografia web gis dedicato.

Quali altre città furono colpite?

Le esondazioni nell’Alto Valdarno iniziarono già il giorno 3 novembre 1966. L’alluvione colpì con particolare violenza le città di Montevarchi, Figline, Incisa, Pontassieve. A valle di Firenze, tutta la piana tra Sesto e Scandicci venne allagata e le acque stazionarono per molti giorni, molto più a lungo rispetto all’abitato di Firenze. A valle della stretta della Gonfolina, tutti i paesi e le città lungo l’asta dell’Arno subirono inondazioni più o meno estese, tra cui Empoli, Santa Croce, Pontedera.

Lo scolmatore d’Arno di Pontedera era già in funzione?

No, lo scolmatore d’Arno non era stato ancora completato. L’opera idraulica indispensabile per salvare la città di Pisa, colpita da una severa alluvione nel 1949, fu avviata nel 1953. La realizzazione fu portata a termine solo nel 1987, anche se il canale era già funzionante nel 1972 con una portata ridotta pari a 500 mc/s (rispetto ai 1400 mc/s di progetto). Il costo complessivo dell’opera fu di 64 miliardi di vecchie lire.

Perché la popolazione non fu avvertita?

I danni dell’alluvione del ’66 furono ancora più gravi anche perché di fatto la popolazione non venne avvertita in alcun modo del pericolo imminente. Basti pensare che la sera del giorno prima, 3 novembre,  in una sala riservata dell’Hotel Minerva alcuni consiglieri comunali, assessori e il sindaco Piero Bargellini erano riuniti per stabilire alcuni assetti politici; il governo di Palazzo Vecchio era in crisi. Malgrado le piogge incessanti di tutto il giorno, nessuno sembrava badare all’Arno. Il sindaco, che era stato promotore dell’iniziativa «Firenze pulita», disse in riferimento all’incessante pioggia: «Firenze pulita va bene, ma così mi pare che si esageri». Le previsioni meteorologiche erano meno affidabili, e non esistevano sistemi di telerilevamento idrometrico e pluviometrico. L’ultimo caso di esondazione dell’Arno risaliva al novembre del 1844, la percezione del pericolo in città era inevitabilmente limitato. Il fatto che il 4 novembre fosse (allora) un giorno festivo limitò probabilmente i danni alle persone.

Ma fu colpa delle dighe ?

All’indomani dell’alluvione, a fianco delle giuste indagini di carattere tecnico e scientifico, spuntarono decine di leggende metropolitane sulle colpe di quella catastrofe. I due impianti aretini di Levane e La Penna dell’ENEL assunsero immediatamente il ruolo dei grandi accusati. L’immaginario collettivo era ancora profondamente impressionato dalla sciagura del Vajont e fece presto ad intrecciare una analoga eventualità con le notizie che arrivavano da Firenze. Le cronache nazionali, d’altro canto, assecondarono questi timori, citando continuamente i due impianti nei reportages da Firenze. Un servizio del Telegiornale del 4 novembre, tra l’altro, dedicò molto spazio ad una scena un po’ confusa e traballante della diga di Levane vista da lontano che, in un rombo assordante, rovesciava dagli scarichi tonnellate di acqua sul fondovalle. Quel lungo servizio confermò le convinzioni che tuttora, dopo mille autorevoli smentite, continuano ogni tanto ad affiorare. L’idea, nella sostanza, fu che i tecnici, nel timore di un cedimento delle strutture, avessero svuotato gli invasi proprio nel momento peggiore del colmo di piena, decretando così la sentenza per la città di Firenze. La procura della Repubblica, all’indomani dell’alluvione, incaricò Giovanni Cocchi, direttore dell’Istituto di idraulica di Bologna, e gli ingegneri Alessandro Giani e Giorgio Hautmann di compiere una perizia sulle due dighe e sul loro funzionamento tra il 3 e il 4 novembre. Le conclusioni della relazione decretarono inequivocabilmente l’innocenza delle due opere e delle maestranze che le governarono in quella terribile notte. Esse non furono le responsabili della tragedia. Anzi la loro presenza avrebbe in qualche modo evitato che l’immane catastrofe assumesse proporzioni maggiori di quelle raggiunte. Si appurò anche che furono compiute alcune manovre errate sugli scarichi e che, probabilmente, si tentò anche di nascondere questi fatti alterando i registri. Tali manovre, tuttavia, comportarono un ritardo nell’onda di piena che determinò, in fin dei conti, un effetto favorevole sull’evoluzione delle portate in città e sui livelli di inondazione. Ai tre periti furono sottoposti quattordici quesiti che hanno toccato tutti i punti caldi della questione delle responsabilità. In estrema sintesi è risultato che il sistema degli scarichi delle due opere era efficiente, che la successione delle manovre riportata dai registri non era attendibile. Fu comunque possibile ricostruirla attraverso adeguati calcoli. In conseguenza delle manovre effettivamente eseguite, la portata massima scaricata dalla diga di La Penna fu di 2645 mc/s, alle ore 4 del 4 novembre, quella scaricata da Levane fu, invece, di 2090 alle ore 4:00 mentre il primo colmo di piena, pari a circa 4000 mc/s giunse alle porte di Firenze alle ore 5:30. Un secondo colmo si verificò poi alle ore 14:00 con una portata di poco più bassa La anomala sequenza delle manovre a La Penna non fu attribuibile a difetti o a guasti dell’impianto, ma proprio a errori materiali nelle manovre eseguite dal personale e ai quali si pose rimedio a distanza di qualche ora. I periti ricordano tuttavia che le condizioni ambientali furono così estreme da giustificare incertezza nel personale in servizio che si trovò a gestire una situazione davvero drammatica e inusitata. La conseguenza di questi errori si tradusse nella necessità di eseguire le manovre con i martinetti elettrici e determinarono, come si è detto, un ritardo nell’apertura delle paratoie. Senza questo ritardo la portata massima scaricata a Levane sarebbe stata di 2250 mc/s contro quella di 2090, quale si è effettivamente verificata. Questo fatto, nei confronti dell’asta dell’Arno fino a Firenze, ha provocato generali leggere diminuzioni sia nei livelli massimi, sia nelle portate massime. L’entità di tali diminuzioni, è variabile da sezione a sezione, smorzandosi con la distanza dalla diga. Alle soglie della città la portata è stata inferiore di circa 80 mc/s ed il livello massimo di 5 cm circa. Anche un tempestivo svuotamento dei serbatoi all’inizio dell’evento avrebbe peraltro determinato una mitigazione pressoché trascurabile nell’impatto dell’alluvione su Firenze. Come il Piano di bacino dimostra chiaramente, le due dighe nella configurazione attuale, hanno ben scarse possibilità di intervenire efficacemente nella mitigazione delle piene.

Quella del ’66 è stata la piena più grave che ha colpito Firenze?

Sicuramente l’alluvione del 1966 è stata una delle più devastanti occorse nella città di Firenze. Le tracce di altre alluvioni, testimoniate dalle tante targhe che costellano il centro della città, indicano normalmente dei valori di livello più bassi rispetto a quelli del 1966. L’Autorità di Bacino del Fiume Arno ha prodotto una cartografia web gis in cui i siti delle targhe delle alluvioni di Firenze sono sovrapposti ai limiti dell’esondazione del novembre ’66. Cliccando sui simboli delle targhe si possono aprire singole schede che descrivono tipo ed altezza delle diverse targhe. Probabilmente la piena che più si avvicinò, per impatto, a quella del ’66 fu quella che avvenne nel 1333, in occasione della quale si verificò l’ultima distruzione del Ponte Vecchio. L’analisi storica documenta che dall’anno 1177 Firenze ha subito 56 piene con allagamento dell’area urbana; di queste, otto fra le più rovinose, si sono verificate negli anni 1333, 1547, 1557, 1589, 1740, 1758, 1844 e 1966. È anche interessante attribuire ai diversi eventi una valutazione in termini di magnitudo. Il riferimento essenziale è l’Aiazzi che presenta anche una efficace tabella. In tempi recenti hanno provocato ingenti danni ulteriori inondazioni derivanti, essenzialmente, dal reticolo minore e dagli affluenti. Si segnalano, in particolare, gli eventi del 1991, 1992, 1993 e 2000. Va segnalato che subito dopo la seconda guerra mondiale, durante lo scavo delle macerie di Por Santa Maria, furono trovate le tracce di una alluvione che devastò la città nel 500 dopo Cristo.

 


Oggi

Se la stessa pioggia cadesse oggi, cosa succederebbe?

Una affidabile ricostruzione di cosa succederebbe oggi nel caso del ripetersi di un evento come quello del 1966 è stata di recente effettuata grazie ad uno studio congiunto di Università di Firenze (Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale), Consorzio LaMMA e Autorità di Bacino del Fiume Arno, in cui si sono simulate le possibili previsioni che, date le condizioni al contorno del novembre 1966, la catena modellistica meteo-idrologica sarebbe in grado di produrre oggi, all’attuale stato delle conoscenze e dei mezzi disponibili.

studio_lamma

Una delle elaborazioni più significative dello studio LaMMA / UniFI / AdBArno per la ricostruzione dell’evento del novembre 1966. La fascia di traiettorie in blu rappresenta l’insieme delle possibili previsioni 48 ore prima dell’evento, ottenuta introducendo verosimili perturbazioni al quadro delle condizioni al contorno. In rosso, le condizioni “reali”. Tramite questo procedimento è stato possibile simulare la condizione di una previsione dell’evento del 3-4 novembre 1966 con gli attuali modelli.

In estrema sintesi, la previsione a scala globale avrebbe evidenziato un ingente sistema a larga scala già 3-4 giorni prima; il modello ad are limitata avrebbe permesso valori numerici di pioggia più alti, limitatamente sottostimati rispetto a quelli registrati; sicuramente sarebbe stato emesso un “codice arancione” di allerta e probabilmente addirittura un “codice rosso” (il più alto nella scala di allertamento della Regione Toscana).

Il concatenato modello idrologico MOBIDIC avrebbe prodotto un idrogramma di piena previsto che con buona approssimazione poteva stimare il valore di colmo, ancorché, forse, con un certo ritardo temporale. Si evidenzia l’importanza di concatenare, a valle del modello idrologico, un modello idraulico di trasferimento dell’onda di piena per una più accurata simulazione dell’idrogramma registrato.

In termini di rischio idraulico, nel centro di Firenze esso è diminuito, perché, a parità di piena, l’abbassamento delle platee di Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinita e l’innalzamento delle spallette nel tratto cittadino favorisce lo smaltimento di portate maggiori rispetto al ’66. Ma alla periferia di Firenze il rischio è senza dubbio aumentato, visto la progressiva edificazione, anche e soprattutto dopo il ’66, di vaste zone nelle aree limitrofe al fiume.

Che impatto sta avendo il cambiamento climatico?

Gli effetti del cambiamento climatico sul ciclo idrologico sono senza dubbio complessi e di non immediata lettura. Mentre l’innalzamento globale delle temperature medie è ormai un dato di fatto, ed anche a livello locale, gli effetti in termini di variazioni del regime delle precipitazioni e degli eventi di piena sono ancora da mettere a fuoco. In generale, anche i più recenti report IPCC evidenziano come nell’area mediterranea si andranno a verificare con sempre maggiore frequenza gli eventi brevi ed intensi, che porteranno ad un incremento delle flash floods (ovvero, dei fenomeni alluvioni caratterizzati da una forte intensità e una breve durata, molto localizzati, per le quali nel Piano di Gestione del Rischio Alluvioni è stato previsto un capitolo dedicato). Ciò nonostante, sarebbe errato considerare come meno probabili eventi a scala di bacino come quello del novembre ’66: è importante evidenziare che non ci sono evidenze correlate al cambiamento climatico tali da giustificare un “calo di attenzione” su questo tipo di rischi. L’Autorità di Bacino è impegnata da anni nello studio dell’impatto che il cambiamento climatico sta avendo sul ciclo idrologico, ed in particolare sull’andamento delle magre e delle piene: ogni atto di pianificazione dovrà sempre tenere presente questa variabile.

Ma esiste un piano contro le ALLUVIONI?

A parte l’evoluzione dei progetti per contrastare il rischio idraulico a Firenze, il Piano di riferimento è attualmente il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni, che contiene informazioni, dati e misure per le diverse fasi in cui si articola, allo stato attuale, la difesa dai prossimi eventi di piena: preparazioneprotezioneprevenzionerisposta e ripristino.

Che interventi prevede?

Il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni prevede un Programma delle Misure, che elenca gli interventi da porre in essere per attuare quelle opere di protezione che permettono di gestire il rischio alluvionale nel bacino dell’Arno. Principalmente si tratta di casse d’espansione, aree confinate lungo l’asta del fiume in cui la piena può essere laminata.

Perché non si scava di più il fiume? Non aiuterebbe ad evitare alluvioni?

Ripetutamente viene chiesto se dragare i letti dei fiumi (e non solo ripulirli da vegetazione e rifiuti, come effettivamente eseguito dai Consorzi di Bonifica), come spesso veniva fatto decenni fa, ridurrebbe il rischio di esondazioni.
La risposta è: NO, lo aumenterebbe, perché

Aumenta la portata, liquida (acqua) e solida (i sedimenti – sabbia e ghiaia – trasportati dall’acqua).
Aumenta la velocità della corrente (e quindi il fiume scava ancora con più forza l’alveo).
Aumenta l’instabilità delle sponde.
Aumenta il rischio a valle.

Si osservi che mediamente l’Arno è in erosione da decenni (ovvero: l’alveo si sta abbassando).
Misure locali di scavo potrebbero (forse) alleviare temporaneamente e molto localmente la situazione, ma alla piena successiva il deposito sarebbe nuovamente formato e nel frattempo il fiume avrebbe scavato ulteriormente, più a monte o più a valle, per recuperare i sedimenti sottratti, in modo imprevedibile e ancora più dannoso.

Esiste un modo per prevedere le alluvioni?

Al contrario di altri disastrosi eventi naturali, come i terremoti, le alluvioni si formano con una sequenza causa-effetto più evidente, e sono legate all’andamento delle precipitazioni che provocano la formazione di onde di piena, in modo più o meno rapido a seconda della dimensione e della forma del bacino idrografico, oltre ovviamente alle caratteristiche (durata, intensità) dell’evento meteorico.Lo sviluppo dei modelli meteorologici a scala globale e a scala locale, con le associate previsioni quantitative di precipitazione, ha permesso di costruire modelli di previsione idrologica in grado di simulare con un certo preavviso la formazione dell’onda di piena. Nel caso del bacino dell’Arno, si possono avere previsioni ragionevolmente affidabili con tempi di preavviso dell’ordine di 36-48 ore. Era questo l’obiettivo che si poneva fin dal 1999 l’Autorità di Bacino, come riportato nel Piano stralcio “Riduzione del Rischio Idraulico” (realizzazione di un sistema unico di preannuncio delle piene).La catena previsionale attualmente operativa nel bacino dell’Arno viene realizzata grazie al lavoro del Consorzio LaMMA e del Centro Funzionale della Regione Toscana.Rimane sempre un certo livello di incertezza, dovuto alla forte non linearità della risposta idrologica dei bacini, e alla definizione delle condizioni iniziali di umidità del suolo; inoltre, la previsione di un’onda di piena dipende anche da come essa interagisce con infrastrutture e assetto del corso d’acqua – condizione complicata dal fatto che oltre alla portata liquida vi è sempre una rilevante portata solida, ovvero sedimenti trasportati al fondo ed in sospensione. Inoltre, in una piena è sempre presente del materiale galleggiante (come tronchi, vegetazione, masserizie) che può alterare le condizioni di deflusso. Nel bacino dell’Arno, a partire dai primi anni novanta, sono stati installati da Regione Toscana e dall’ex Servizio Idrografico (ora confluito nel Centro Funzionale / Servizio Idrologico della stessa Regione) una numerosa serie di sensori in telerilevamento che forniscono un quadro aggiornato in tempo reale dell’andamento delle precipitazioni e dell’evolversi dei livelli e delle portate nell’asta principale dell’Arno e nei suoi principali affluenti. Essi, insieme al quadro delle previsioni quantitative di precipitazione, forniscono gli input per i modelli idrologici/idraulici che servono poi per prevedere l’onda di piena lungo il fiume.

Se arriva una piena, dov’è che si verificheranno le prime esondazioni?

Non è banale rispondere a questa domanda, per le tante variabili in gioco nella formazione di una piena, principalmente legate alla distribuzione nello spazio e nel tempo delle piogge, e alla loro entità, oltre che all’effettiva condizione delle opere idrauliche lungo il fiume e gli affluenti.
Tuttavia è possibile, tramite adeguati modelli idraulici, stimare quali portate possono transitare senza esondare lungo il corso del fiume.

Chi interviene in caso di allerta alluvione?

La protezione civile nel bacino dell’Arno è organizzata direttamente dalla Regione, in stretto contatto con le strutture nazionali preposte a questo compito, ma anche con tutti i Comuni e le Province in modo che gli interventi siano rapidi, tempestivi e capillari.

Centro Funzionale e Consorzio LaMMA sono i soggetti che emettono i bollettini meteo e gli avvisi di criticità per rischio idraulico e rischio idrogeologico per la Protezione civile regionale, che dispone di una Sala operativa in funzione 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno. È in grado di allertare in tempo reale non solo tutte le forze e le strutture che devono intervenire in caso di alluvioni, terremoti, grandi nevicate o altre situazioni di pericolo legate a particolari condizioni atmosferiche.
La Protezione civile regionale si avvale anche della fitta rete di associazioni che operano in questo settore e che sono iscritte nel Registro regionale del volontariato.

I nostri beni culturali sono ancora a rischio? E le scuole? E gli ospedali

Sì, lo sono. Dal 2006 l’Autorità di Bacino del Fiume Arno lavora a stretto contatto con Prefettura e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per definire e mantenere aggiornata la mappatura della pericolosità idraulica per gli edifici contenenti beni culturali nella città di Firenze ed in generale nel bacino dell’Arno. Per questo è stata realizzata una cartografia web gis dedicata, in cui sono riportati localizzazione e tipologia dei beni a rischio, sovrapposti al livello id pericolosità seconda la scala definita nel Piano di Gestione del Rischio Alluvioni. Anche per scuole ed ospedali, nell’ambito dei prodotti del Piano di Gestione del Rischio Alluvioni, sono state predisposte delle carte tematiche che evidenziano la posizione dei singoli edifici rispetto alle aree a pericolosità idraulica.

Che cosa dobbiamo fare per difenderci durante la prossima alluvione

Il Dipartimento della Protezione Civile ha organizzato una vasta campagna di sensibilizzazione contro i rischi naturali, dal titolo “Io non rischio“. Anche l’Autorità di Bacino del Fiume Arno ha collaborato a questi eventi di diffusione delle buone pratiche da mettere in pratica prima e dopo un evento alluvionale.